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LA METAFORA DELLE DUE FRECCE: dal dolore alla sofferenza

Ancor prima della nascita della psicologia come la conosciamo, un semplice uomo, comunemente riconosciuto come il Buddha, scoprì una verità tanto semplice quanto apparentemente difficile da comprendere e da applicare. E cioè che quando ci capita qualcosa di negativo, non soffriamo solo per l’esperienza dolorosa in sé, ma anche e soprattutto per il modo in cui reagiamo a questa esperienza.

Egli scelse di esprimere questa verità tramite una metafora: l’immagine di un uomo che viene a contatto con una sensazione spiacevole (colpito dalla prima freccia) e - come reazione - si preoccupa, si agita, piange, grida, si batte sul petto, perde il senso della realtà. Si lascia quindi catturare da un vortice di valutazioni sull’esperienza stessa e finisce per soffrire molto più del necessario. Come se fosse stato colpito non da una, ma da due frecce.

La prima freccia capita a tutti: è nella natura dell’essere umano vivere esperienze spiacevoli, provare un dolore fisico, subire una perdita, inciampare, fallire, provare emozioni di ansia, tristezza… la seconda freccia è composta dall’insieme di tutte le reazioni che mettiamo in campo per opporci alla prima, tutte quelle che vengono chiamate reazioni di avversione e rifugio in qualche sensazione piacevole.

Questi provvedimenti per evitare il dolore sono ciò che, spesso, lo fa perdurare. La seconda freccia diventa un’amplificazione della prima: un lavorio interno che invece di eliminare il dolore lo trattiene e spesso, nel tentativo di prevenirlo, lo crea. Mentre la prima freccia non può essere evitata, sulla seconda si può fare molto lavoro.

Insomma, costui fu tra i primi a rendersi conto dell’effetto che i nostri pensieri, le nostre reazioni automatiche, possono avere sulle esperienze che viviamo.

 

Cosa accade in noi quando viviamo esperienze spiacevoli?

Nel corso della vita, inevitabilmente, ci troviamo a vivere esperienze ed emozioni spiacevoli, che in qualche misura ci fanno soffrire o comunque ci creano un senso di disagio.

Si va da eventi di lieve entità, un contrattempo imprevisto, come il pc che si “impalla” all’improvviso, notiamo che qualcun altro ha quello che vorremmo, una brutta figura, a eventi più significativi e dolorosi, come eventi traumatici, lutti, un tradimento, un dissesto finanziario, la perdita del lavoro, la fine di una relazione, un grave incidente...

Si tratta di esperienze, sì spiacevoli, ma che sono parte integrante della vita e che spesso non è possibile evitare. Quello che accade quando si verifica ciò è che percepiamo un “divario”: da un lato c’è la realtà attuale e dall’altra quella che vorremmo, e maggiore è lo scarto, maggiori sono le emozioni di sofferenza con cui lo viviamo.

Il nostro istinto, ogni volta che viviamo questo divario, è colmarlo il prima possibile, reagendo in modo automatico per evitare i vissuti spiacevoli. Se funziona va bene, se c’è qualcosa che possiamo fare per ottenere ciò che vogliamo è sensato procedere e farlo. Ma cosa facciamo quando non è possibile colmare quel divario?

La tendenza naturale della nostra mente è quella di “malmenarci” e ci lasciamo catturare da un flusso di pensieri ed emozioni negative: scagliamo la seconda freccia. Ed è proprio questa seconda freccia che può farci più male. Perché è proprio questo flusso di pensieri, emozioni e sensazioni negative a potenziare ulteriormente, mantenere nel tempo e generalizzare la sofferenza dell’esperienza originale. Già prendendo in considerazione eventi di poco conto (come il pc che si impalla) questa tendenza potrebbe scatenare una reazione negativa e stressante che spesso è peggiore dell’esperienza originale in sé. E quanto possono essere dolorose le emozioni e i pensieri che possono scaturire da eventi ben più grandi?

 

Ci sono cose che non possiamo controllare o cambiare, non possiamo avere tutto ciò che vogliamo, ma possiamo comunque vivere una vita piena e gratificante, cambiando il modo di rapportarci ad esse.

Quindi se la prima freccia viene scagliata, diciamo così, “dalla vita”, a scagliare la seconda siamo noi, contemporaneamente arcieri e bersagli. Questo significa che se la prima freccia non è evitabile, la seconda si! Su questa abbiamo margine d’azione per vivere meglio, se impariamo a riconoscerla, osservarla e rispondere quindi in maniera consapevole e funzionale al nostro benessere. Non è facile proprio perché questa seconda freccia viene scagliata in maniera automatica. Ma cambiare abitudini fortunatamente è possibile, e il primo passo è proprio prendere consapevolezza di questa nostra tendenza.

Imparare a farlo richiede un percorso di allenamento mentale, cominciando dalle piccole cose. Più diventi bravo a mantenere la calma e a non lasciarti catturare dalla corrente dei pensieri e delle emozioni negative quando ti capita qualcosa di “piccolo”, più sarà facile affrontare anche le situazioni più “grandi”.

"Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.”

- Khalil Gibran - 

Francesca Sferruzza

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